Disabilità in Italia. Di Marco Monzù Rossello. L’Italia ha realizzato l’integrazione come un diritto pieno e incondizionato della persona con disabilità. I livelli raggiunti, qualitativamente e quantitativamente, però, ancora devono essere migliorati. Ovunque le persone con disabilità sono state inserite nella scuola di tutti. Ma per lo più non ne fanno parte, non condividono, non sono considerati degni di reciprocità. Sono soggetti scolasticamente e socialmente assistiti.
Lo dimostrano i tanti studenti la cui integrazione è difficile e a cui spesso è negato il diritto allo studio. Lo dimostrano anche le tante persone con disabilità adulte che non riescono a svolgere la loro professione
Le leggi a favore delle persone con disabilità sono indubbiamente utili, perché migliorano materialmente la qualità della loro vita. Tuttavia gli interventi legislativi si preoccupano solo di aspetti materiali e non affrontano il vero problema: il progetto di vita e l’integrazione nella società.
Le barriere che ancora oggi permangono sono quelle mentali. Se da un lato lo Stato interviene emanando leggi specifiche, dall’altro la società non è ancora pronta ad accettare queste persone
La persona cosiddetta normo dotata deve abituarsi a dividere il proprio spazio e la propria aria con la persona con disabilità. Non deve temere di sedersi al suo fianco e di parlargli, magari intorno a una tavola imbandita o dinanzi a un meraviglioso tramonto. Perché le idee, i sentimenti, le gioie, le paure , gli affetti e l’energia di ogni individuo non sono soggetti a disabilità e risiedono in ogni essere umano. Pertanto è compito della famiglia, della scuola e delle Istituzioni in generale lavorare sui figli/discenti sin dalla tenera età.
Purtroppo, la dura realtà rileva che la strada è ancora lunga la per fare accettare le “diversità” umane come ricchezza: il colore della pelle, le credenze religiose, l’orientamento sessuale, la condizione di disabilità sono ancora considerate caratteristiche socialmente indesiderabili
E sono solo queste diversità che producono lo stigma sociale negativo che la società ci attribuisce, per cancellare il trattamento diseguale e discriminatorio che ha riservato alle persone che avevano quelle caratteristiche.
Insieme alle leggi, quindi, è necessario che scendano in campo le famiglie, le istituzioni, la scuola, le comunità e i servizi
Oggi l’integrazione/inclusione si può attuare intervenendo sul sistema scuola nel suo complesso. Il punto vero non sta nell’integrare/includere una particolare categoria di alunni nelle classi “normali”. Ma nel come fare crescere comunità scolastiche inclusive che rispondano ai bisogni educativi e sociali di ciascun alunno. Da qui la conseguenza che i compiti della scuola (e in particolare dell’insegnante di sostegno) non possano situarsi solo all’interno della relazione docente-alunno, ma debbano allargarsi al di fuori di questo rapporto per coinvolgere il contesto, l’ambiente, l’ecosistema in cui vive il bambino. L’integrazione/inclusione non è una concessione, ma un fattore di miglioramento della qualità della scuola e della società. Indispensabile per tanto, ridurre il numero di alunni per classe in base a quanti discenti con disabilità sono inseriti all’interno della medesima.
In questo modo ogni bambino cosiddetto “normo-dotato” ha l’opportunità di fare esperienze con persone con disabilità, di imparare da loro, di occuparsene, acquisendo nuovi apprendimenti (cognitivi, sociali, emotivi)
L’insegnante di sostegno perciò deve assumere una filosofia scolastica integrativa come propria visione del mondo. A lui si richiedono competenze che lo proiettino al di là di un rapporto docente alunno per fare il punto di sutura tra elementi diversi.
In altre parole egli dovrà diventare operatore di rete. Raccordando e facilitando i sincronismi e le sinergie tra i molteplici poli, formali e informali, coinvolti nell’aiuto. L’insegnante di sostegno dovrà in primo luogo mettersi in posizione di ascolto. Identificandosi con l’alunno, essendo costui il vero interlocutore: in fondo il vero soggetto della rete è lui.
Lo Stato ha la grave colpa di abbassare gli standard di qualità relativi alle specializzazioni sul sostegno. Le nuove politiche in tal senso colpiscono in primis i discenti in questione.
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