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Medicalizzazione degli alunni: quando la normalità diventa patologia

Medicalizzazione degli alunni quando la normalità diventa patologia

Medicalizzazione degli alunni quando la normalità diventa patologia

Medicalizzazione degli alunni: quando la normalità diventa patologia.

Negli ultimi anni, si è assistito a un preoccupante aumento della tendenza a interpretare i normali comportamenti degli adolescenti come segnali di disturbi psicologici. Questo fenomeno, noto come “medicalizzazione”, vede i comportamenti tipici della crescita e dello sviluppo, come i capricci, la ribellione o le difficoltà relazionali, essere classificati e trattati come patologie. Il ruolo chiave in questo processo è spesso svolto dagli psicologi, i quali, se da una parte possono svolgere un’importante funzione di supporto, dall’altra rischiano di esagerare nell’etichettare gli studenti, portando a conseguenze negative per la loro crescita.

La normalità dell’adolescenza

L’adolescenza è una fase della vita caratterizzata da profondi cambiamenti fisici, emotivi e psicologici. È normale che un giovane si mostri ribelle, abbia momenti di crisi o attraversi fasi di instabilità emotiva. Questi comportamenti, spesso classificati come “capricci” dagli adulti, non sono segni di disturbi psichiatrici, ma manifestazioni naturali della crescita.

Gli adolescenti stanno sperimentando la costruzione della propria identità, cercando di affermarsi e di trovare il loro posto nel mondo. È inevitabile che questo processo porti a contrasti con l’autorità (genitori, insegnanti, ecc.), sbalzi d’umore e cambiamenti nel comportamento. Intervenire con diagnosi psicologiche non sempre necessarie rischia di patologizzare questi comportamenti, ignorando la loro natura evolutiva.

Il rischio della sovradiagnosi

Uno dei problemi principali della medicalizzazione è la sovradiagnosi, ossia la tendenza a individuare disturbi o disabilità dove non esistono. Alcuni comportamenti che rientrano perfettamente nella norma vengono etichettati come sintomi di disturbi psichici, creando un senso di inadeguatezza nei giovani e spingendoli verso percorsi terapeutici non necessari.

Disturbi come l’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività) o i DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) sono sicuramente condizioni reali e meritevoli di attenzione. E’ altrettanto vero che si è assistito a un forte aumento delle diagnosi negli ultimi anni, spesso senza un’adeguata analisi delle singole situazioni.

Conseguenze negative della medicalizzazione

Medicalizzare i normali comportamenti adolescenziali può avere effetti profondamente negativi sullo sviluppo dei giovani. In primo luogo, i ragazzi etichettati come “problematici” possono interiorizzare queste diagnosi, sviluppando un senso di inadeguatezza e una bassa autostima. Si rischia di creare un’identità attorno a una diagnosi, riducendo il giovane al suo presunto disturbo, e limitando il suo potenziale di crescita.

Si corre il rischio di esonerare la scuola e la società dalle proprie responsabilità educative. Se un adolescente che manifesta difficoltà viene subito etichettato come portatore di disturbi psicologici, la risposta non sarà più cercare soluzioni educative, ma delegare la questione ai medici e agli specialisti. Questo porta a una riduzione dell’attenzione su modelli educativi inclusivi e a una deresponsabilizzazione degli insegnanti e dei genitori nel gestire le difficoltà quotidiane degli studenti.

Un approccio più equilibrato

La presenza di psicologi nelle scuole può rappresentare una risorsa preziosa, ma è essenziale che il loro intervento sia calibrato e orientato al benessere complessivo degli studenti, non alla ricerca di patologie a tutti i costi. È necessario distinguere tra i problemi reali, che richiedono un intervento professionale, e i normali momenti di crisi o ribellione che fanno parte della crescita.

Invece di ricorrere subito a diagnosi e terapie, la scuola e la famiglia dovrebbero lavorare insieme per creare un ambiente di ascolto, comprensione e supporto, che permetta agli adolescenti di esprimersi liberamente e affrontare le sfide della crescita senza sentirsi inadeguati. I genitori dovrebbero essere coinvolti attivamente nel processo educativo, senza temere che ogni crisi del figlio sia un segno di un problema psicologico.

Conclusione

La medicalizzazione degli alunni da parte degli psicologi rischia di trasformare i normali capricci adolescenziali in disturbi psicologici, con conseguenze negative per il loro sviluppo emotivo e psicologico. È fondamentale adottare un approccio più equilibrato, che riconosca la complessità dell’adolescenza e che sia incentrato sul sostegno educativo piuttosto che su diagnosi affrettate. Solo così potremo garantire una crescita sana e armoniosa per i nostri giovani, senza etichettarli e limitarne il potenziale.

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