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Regionalizzazione: no, grazie

Regionalizzazione? No , grazie.

Regionalizzazione? No , grazie.

Regionalizzazione? No , grazie.

Compito della scuola non è solo quello di istruire, ma anche quello di educare e formare i cittadini di domani, cittadini che devono confrontarsi con la società dove pullulano usi, costumi, tradizioni e religioni diversi.

Il confronto può avvenire solo se collaborazione, cooperazione, tolleranza e uguaglianza diventano i cardini del vivere quotidiano.

In un mondo dove i giovani, per svariati motivi, non riescono a trovare la loro strada, è necessario che abbiano dei modelli e dei buoni esempi che siano standardizzati a livello Nazionale e non Regionale.

Questi buoni esempi non si ravvisano nella proposta di regionalizzazione. La scuola non verrebbe più a essere gestita come “luogo di cultura”, dove tutti sono alla pari e hanno le stesse possibilità, ma come azienda, dove ogni “dipendente” entrerebbe in conflitto e in rivalità con l’altro per essere il primo della classe, per guadagnare di più e per accaparrarsi i favori del “capo”.

Si creerebbero tra l’altro i così detti alunni di serie A (al Nord) e alunni di serie B (al Sud).

Regionalizzazione? No grazie!

Nella scuola “regionalizzata e aziendalizzata” verrebbe così a mancare quel clima di collaborazione e quel valore inestimabile che si chiama uguaglianza”.

Uguaglianza tra alunni del nord e alunni del sud, uguaglianza tra lavoratori del nord e lavoratori del sud.

Nonostante le molteplici riforme che nell’arco degli anni si sono succedute e, nonostante la mancanza di fondi, gli insegnanti si sono sempre rimboccate le maniche e hanno portato avanti con orgoglio una scuola libera e non condizionata da vincoli.

Gli insegnanti non accettano di essere spronati alla competizione: la scalata sociale avverrà nel mondo del lavoro.

Accettarsi, dialogare e confrontarsi devono essere gli esempi che la scuola italiana deve dare alle nuove generazioni da nord a sud.

Regionalizzazione? No grazie!

Per scuola s’intende serena cooperazione fra alunni, personale ATA, dirigente e docenti.

Si sente tanto parlare di scuole aperte in estate, ma come si farà se si continua con ulteriori tagli anche nell’edilizia scolastica?

I soldi, però, ci sono per le scuole private che potranno permettersi soltanto alcune categorie di persone. E gli altri? Gli altri, quelli le cui famiglie non possono permettersi il lusso di pagare una retta mensile, sono destinati a restare fuori da quell’istruzione che la Costituzione italiana garantisce a tutti.

Non è forse che al Governo serve un popolo “ignorante” affinchè le poltrone dei politici di oggi diventino, in futuro, le poltrone dei loro figli e dei loro parenti?

Si ritiene che in uno Stato democratico, ogni cittadino debba essere libero di scegliere la scuola pubblica o privata per i propri figli. Lo Stato però deve garantire a tutti un percorso formativo che consenta di raggiungere un grado di istruzione e acculturazione pari tra chi vive al nord e chi vive al sud.

La soluzione prospettata dal Governo è forse quella di delegare, di fatto, ai privati, il compito di investire nella scuola, con la conseguenza della sua trasformazione in fondazione?

Come tale, la scuola regionalizzata e aziendalizzata diventerebbe un’istituzione privata alla quale verrebbe riconosciuta la personalità giuridica

e quindi imporre luoghi, tempi, curricoli , provvedimenti e comportamenti che risulterebbero lontani dalla didattica e dalla formazione del cittadino di domani.

Vengono aboliti e vanificata l’esperienza di una vita a contatto con studenti che fino a oggi si sono diplomati e laureati.

Inoltre, gli scatti stipendiali sarebbero regionali e molto probabilmente sarebbero legati al merito, formando così una scala gerarchica dove c’è chi giudica e chi viene giudicato.

Non possiamo sapere chi saranno i “giudici” e non sappiamo se verrebbero in tal caso adottati criteri docimologici che permetterebbero una valutazione oggettiva e non influenzata da simpatie e antipatie.

Benvenuto clientelismo!!! La strada da seguire non è questa. Gli insegnanti desiderano invece auto-valutarsi. Confrontare le proprie esperienze. Fare tesoro dei buoni progetti e delle buone idee ma, soprattutto, frequentare corsi di formazione a loro scelta (tenuti da formatori competenti) che sicuramente migliorerebbero le già acquisite competenze di ogni docente e tutto questo deve avvenire da nord a sud senza nessuna distinzione.

Alla luce di tutto ciò, l’Unicobas continua a chiedere il ritiro immediato della proposta di regionalizzazione. Proposta vergognosa.

E’ necessario riproporre una discussione sulle politiche scolastiche secondo un metodo democratico, partecipato e trasparente per tutto lo Stivale e senza nessuna distinzione . Non può esserci uno stato democratico e pluralista se non vi è una scuola democratica nazionale fondata sui principi costituzionali.

Per l’Esecutivo Nazionale Unicobas CIB Scuola e Università Lombardia

Dott. Marco Monzù Rossello

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